L’esperienza IESA nell’ASL TO4: luci, ombre e prospettive

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di (E. Cristina, D. Menchi, L.Cervini, A. Chiappino).

Nel giugno 2006, in seguito alla Delibera n° 431 del 1/06/2006, ha preso avvio il servizio I.E.S.A. (Inserimento Etero-familiare Supportato di Adulti sofferenti di disturbi psichici) all’interno del Dipartimento di Salute Mentale dell’A.S.L. TO4.

Fin da subito in un’ottica di integrazione e collaborazione tra servizio pubblico e privato sociale, è stata coinvolta l’Associazione di Promozione Sociale Psicopoint di Settimo Torinese.

Con la sigla IESA si intende un processo che porta all’inserimento di una persona seguita dai servizi psichiatrici all’interno di una famiglia ospitante, diversa da quella di origine, opportunamente selezionata ed “abilitata”; in cambio della ospitalità offerta la famiglia riceve un contributo economico sotto forma di rimborso spese da parte dal Dipartimento di Salute Mentale ed uno da parte dell’ospite stesso come contributo al bilancio familiare.

Il progetto nasce come soluzione alternativa all’istituzionalizzazione di pazienti psichiatrici in un momento storico in cui è anche necessario confrontarsi con una politica economica in tema di sanità pubblica sempre meno generosa. IESA si rivolge a pazienti seguiti dai Centri di Salute Mentale che non possono appoggiarsi alle proprie famiglie d’origine, o perché rimasti soli e non in grado di gestirsi una vita autonoma, o a causa delle difficoltà relazionali del nucleo familiare (famiglie espulsive o temporaneamente non in grado di sostenere la difficoltà della convivenza con la patologia psichiatrica). Per tali pazienti l’inserimento nel circuito della residenzialità (comunità, gruppi appartamento ecc..) sembrerebbe l’unica soluzione possibile, altresì se questi fossero supportati da un contesto familiare, sociale e sanitario adeguato potrebbero giovare di un reinserimento nella comunità, recuperare spazi di autonomia e migliorare la qualità della propria vita.

In questa ottica lo IESA si inserisce in un immaginario possibile percorso compiuto da una persona in carico alla Salute Mentale, che da contesti fortemente connotanti la malattia come i manicomi e alcune comunità psichiatriche, viene coinvolta invece in un progetto che valorizza le risorse territoriali “naturali” e stimola le autonomie residue e spesso ritrovate.

Dunque, l’inserimento eterofamiliare supportato di adulti sofferenti di disturbi psichici può considerarsi a tutti gli effetti come una risorsa del Servizio di Salute Mentale, che si renda flessibile nei confronti delle diverse caratteristiche ed esigenze del paziente, del Servizio e della comunità.

Le esperienze e le ricerche svolte in Europa a partire dal 1300 (Francia, Germania, Olanda, Scozia, Belgio, Norvegia, Finlandia ed ovviamente Italia), mostrano come l’inserimento eterofamiliare possa essere altamente benefico e terapeutico per il paziente che, attraverso la presenza dell’altro e le naturali capacità affettive, educative e di supporto, sperimentabili in famiglia, può recuperare e valorizzare le proprie capacità relazionali, di autonomia e rinforzare la propria identità.

A tal proposito riportiamo in tabella i risultati di una ricerca condotta di recente sul territorio nazionale dal Dr. Gianfranco Aluffi, Psicologo-psicoterapeuta e formatore IESA ,che descrive lo sviluppo delle esperienze in Italia all’interno dei Dipartimenti di Salute Mentale.

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tabella aluffi

 Partendo dal presupposto che la famiglia rappresenti la comunità personalizzante per eccellenza, si può pensare al nucleo affidatario come a un’entità che permetta al soggetto di sentirsi amabile ed amato, dandogli così la possibilità di riscoprire quel valore indispensabile per acquisire e mantenere l’autostima. Grazie all’integrazione in una rete sempre più ampia che normalmente coinvolge il vicinato e la comunità stessa, ad esempio con la partecipazione ad attività sociali, culturali, festive, ecc il paziente può essere aiutato a superare gradualmente il proprio isolamento sociale ed affettivo.

A partire dai piccoli ma essenziali momenti della vita quotidiana (igiene personale, alimentazione e abbigliamento) si può ipotizzare che il paziente riesca a reinvestire su di sé, sia sul piano fisico che su quello emotivo e relazionale, recuperando abilità personali assopite come le proprie capacità di iniziativa e produttività, allontanandosi dal ruolo esclusivo di malato.

L’affido familiare si accompagna alla continuità delle cure e dei rapporti con il Servizio di Salute Mentale ed è complementare ad altre soluzioni extra-istituzionali (Centri Diurni, laboratori di lavoro protetto, ecc.). L’inserimento IESA è altresì arricchente dal punto di vista emotivo per la famiglia ospitante che si trova a confrontarsi con una realtà nuova e stimolante; inoltre in ottica di neo-welfare la famiglia viene agevolata nella gestione del proprio bilancio economico, evento oggi sempre più problematico.

Nell’ottica dell’autonomia del paziente è previsto inoltre che egli contribuisca in parte al bilancio familiare col proprio reddito, in assenza di questo, ciò avviene comunque grazie a sussidi terapeutici ad hoc erogati dal DSM.

L’essenza del progetto IESA è un buon abbinamento tra le caratteristiche del paziente e quelle della famiglia ospitante. I colleghi anglosassoni definiscono questo momento matching; to match si può tradurre come: appaiare, raccordare, unire ma anche maritare e persino armonizzare.

Due pezzi di un puzzle, presi isolatamente, possono essere brutti, strani o apparire privi di senso ma messi insieme possono incastrarsi alla perfezione acquisendo un significato nuovo ad entrambi.

Paradossalmente non è la diagnosi a costituire elemento predittore positivo dell’inserimento di un paziente in famiglia, bensì l’ipotesi di accoppiamento elaborata dall’equipe IESA insieme ai curanti, al paziente ed alla famiglia.

Fatto salvo quanto sopra, elenchiamo quelli che in letteratura e nella nostra esperienza costituiscono dei fattori predittivi di un buon esito dell’inserimento relativi all’ospite:

  • età superiore ai 18 anni (alcuni servizi Iesa, nella logica dell’integrazione con la Neuropsichiatria infantile, stanno sperimentando anche l’inserimento di adolescenti);
  • assenza o estrema compliance della famiglia naturale;
  • sufficiente grado di autonomia personale e compenso sintomatico;
  • assenza di problemi organici gravi (si stanno sperimentando progetti in collaborazione con l’area handicap);
  • assenza di dipendenza grave da sostanze o alcool (anche con i Servizi per le dipendenze vi sono esperienze – poche – di inserimento di pazienti con tale problematica, che sembrano trovare un grande beneficio in famiglia);
  • assenza di manifestazioni aggressive importanti auto ed etero dirette;
  • assenza di ricorso a pratiche illegali e/o rapporti con la malavita.

Alle famiglie ospitanti vengono richieste alcune caratteristiche essenziali, di ordine strutturale e relazionale; fra le prime, più semplici da individuare segnaliamo: la presenza di una stanza decorosa ad uso esclusivo dell’ospite e la disponibilità a collaborare con gli operatori per tutta la durata del progetto. Inoltre si auspica che la famiglia sia desiderosa di passare del tempo insieme al paziente coinvolgendolo nelle attività quotidiane, ricreative e del tempo libero proprie della famiglia.

Alla famiglia è richiesto di essere famiglia e non di “psicologizzare” e/o approfondire gli aspetti psicopatologici dell’ospite, ma di “stare” e di vivere l’esperienza della convivenza nel modo più “naturale” possibile. Le famiglie ospitanti vengono reperite attraverso la distribuzione di materiale divulgativo, l’attivazione di contatti ed incontri con associazioni, lo sviluppo e la manutenzione della rete informale del territorio e la risposta o pubblicazione di annunci di offerte di lavoro in ambito di assistenza alla persona.

Il percorso di abilitazione del nucleo famigliare prevede una serie di incontri di conoscenza reciproca con l’equipe IESA e la partecipazioni a gruppi di discussione con altre famiglie che stanno già accogliendo un paziente o che sono in attesa di riceverlo.

Una volta identificata la famiglia che si ritiene più idonea per un paziente (matching, vedi sopra) prende inizio il processo di l’inserimento; vengono allora realizzati, anche a domicilio, una serie di incontri tra ospite, famiglia  équipe IESA ed operatori del CSM. Il passo successivo prevede la stipula del contratto tra le parti coinvolte che norma le modalità in cui l’inserimento si realizzerà, contestualmente prende avvio anche la relativa copertura assicurativa (polizza RC). Nel contratto è previsto un periodo di prova iniziale (in genere di un mese), anche se in qualsiasi momento: paziente, famiglia, equipe IESA ed equipe curante possono richiedere l’interruzione dell’inserimento, seppure con differenti modalità e tempi.

Le tipologie d’inserimento previste, in base al progetto terapeutico dell’ospite ed alle esigenze della famiglia sono essenzialmente due: il cosiddetto “full-time” o “24h” in cui il paziente vive in famiglia tutto il giorno, ed il “part-time”. Questa ultima forma di accoglienza è adattabile su misura alle esigenze specifiche di famiglie e pazienti e si può declinare in forme estremamente differenti ad esempio: il paziente può essere ospitato dalla famiglia per il week-end, per i pranzi, per le cene, per singole giornate specifiche e così via.

I progetti di accoglienza possono svilupparsi nel breve periodo (da alcune settimane a qualche mese), nel medio (non oltre i due anni) o nel lungo periodo (tempo illimitato).

Durante tutto il percorso di affido l’equipe IESA monitora la situazione ed il benessere di paziente e famiglia, con una reperibilità costante sulle 24 ore, ed un supporto specializzato attraverso colloqui, visite domiciliari, e valutazione tramite indici di progresso condivisibili e confrontabili.

Oltre all’incremento dei livelli di autonomia, relazionali, e di qualità della vita del paziente, i risultati attesi riguardano: la riduzione della sintomatologia psicopatologica, delle ricadute, dei dosaggi psicofarmacologici e più in generale una riduzione dello stigma e del pregiudizio correlati alla malattia.

Le famiglie che ospitano o hanno ospitato pazienti riferiscono spesso di un arricchimento emozionale e relazionale.

Nonostante quanto abbiamo descritto finora la letteratura e la nostra esperienza ci indicano chiaramente che i drop out ( i fallimenti dei progetti di affido) rappresentano quasi il 50% degli inserimenti IESA.

Ipotizziamo che ciò avvenga per svariati motivi, dall’errato abbinamento paziente-famiglia a difficoltà emergenti nel paziente stesso, a fattori meramente culturali e collegati al sistema di cura.

L’esperienza del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL TO4

(Giugno 2006 – Dicembre 2010)

 L’equipe IESA è composta oggi in pianta stabile da cinque operatori: tre psicologi, un infermiera ed un medico. Nei primi due anni di vita del progetto gli operatori erano solamente tre.

I suoi compiti riguardano principalmente:

  • ricerca, selezione ed abilitazione delle famiglie;
  • individuazione dei pazienti eligibili ad inserimento;
  • interfaccia con i CSM, i Consorzi dei Servizi Sociali e le altre Agenzie di cura del territorio;
  • interfaccia con il territorio (associazioni, parrocchie, cooperative, ecc.);
  • monitoraggio dell’affidamento;
  • ideazione e produzione di materiale a supporto dell’iniziativa ed in generale di una campagna antistigma.

La ricerca famiglie sul territorio di competenza dell’ASL TO4 è avvenuta in modo massiccio nel 2006 e nel 2007 attraverso due “campagne di marketing sociale” caratterizzate dalle seguenti azioni:

  • pubblicazione di annunci a pagamento su due testate giornalistiche a diffusione provinciale nella sezione dell’assistenza alla persona;
  • tre conferenze stampa;
  • 15 articoli su quotidiani a diffusione locale,
  • Decine di incontri con associazioni di volontariato, parroci, enti locali ecc, con la diffusione complessiva di circa 1700 brochure informative.
  • 12 incontri per far conoscere il progetto IESA nelle varie comunità e gruppi appartamento che collaborano con i CSM di Settimo, S. Mauro e Chivasso, e presso i CSM stessi.

L’esito di quanto sopra è riassunto nella tabella seguente.

Contatti (telefonate ricevute) 465
Appuntamenti  
Primo appuntamento 58
Rinunce e mancati 1°Appuntamenti 13
Non ritenute idonee dopo il 1° appuntamento 10
Selezione/Abilitazione
Famiglie Selezionate 35
Famiglie Abilitate 22

La percentuale fra contatti grezzi ed abilitazione delle famiglie, che nel nostro caso si attesta intorno al 5 %, ci pone in linea (nella fascia alta) con le statistiche elaborate in Italia da chi si occupa di marketing sociale ed in particolare di IESA.

Con le ventidue famiglie abilitate si è costituita la cosiddetta “banca famiglie”, l’insieme cioè delle famiglie affidatarie in attesa di poter accogliere un paziente. Vedremo in seguito, nella parte relativa alle criticità cosa ne è successo. In parallelo alle famiglie gli operatori dell’equipe IESA hanno da  subito cercato di costruire la “banca pazienti”, l’insieme cioè di quei pazienti interessati e ritenuti idonei dai curanti ad intraprendere un percorso IESA. Questa ricerca si è svolta stimolando e ricevendo indicazioni dai colleghi operanti nei CSM del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL TO4. Le segnalazioni sono state fatte prevalentemente dai medici e sono indicate nella tabella che segue.

Pazienti indicati dal Servizio 22
Rivalutati in negativo dall’equipe proponente e preclusi al percorso 10
Rifiuti da parte dei pazienti 2
Progetto fortemente ostacolato   dalla famiglia d’origine del paziente 1
valutato non idoneo dall’equipe IESA 1
in fase di valutazione, poiché inviato da un Ser.T. che non ha ancora recepito la delibera aziendale 1
Totale dei pazienti entrati a tutti gli effetti nella banca pazienti 7

A seguito di quanto sopra stati attivati 7 inserimenti IESA di cui seguono i dettagli

Area Diagnostica Tipologia Iesa Durata Esito a oggi ( 31 Dicembre 2010)
Disturbi dell’umore Full-time 22 giorni Terminato. (Drop out del paziente che ha chiesto di interrompere);
Psicosi Part-time 2 anni8 mesi

Attivo

Psicosi Full-time 2 mesi9 giorni Terminato. (Drop out della famiglia affidataria) la malattia sopraggiunta di un familiare ha reso insostenibile il clima per il paziente.
Disturbo della personalità Full-time 6 mesi 15giorni Terminato. (Percorso concluso a fine contratto in accordo tra paziente, curante ed equipe IESA)
Psicosi Part-time 1 anno6 mesi Attivo. Part-time atipico con progetto modificato alcune volte per conservare il buon rapporto fra un membro della famiglia ed il paziente.
Disturbo della personalità Full-time 1 mese 2 giorni Terminato. Drop-out del paziente a pochi giorni dalla conclusione dell’affido
Disturbi dell’umore Full-time 7 mesi

Attivo

Criticità

Cercando di rimanere il più possibile obiettivi, si prenderanno in esame le difficoltà incontrate alla luce di alcune categorie (fattori di rischio), ispirandosi ad un lavoro svolto nella fase di studio di fattibilità del progetto stesso nel novembre 2005. Di seguito elenchiamo i fattori di rischio precedentemente individuati, in carattere più piccolo quelli che secondo noi non hanno costituito un grande problema.

Relative al Servizio:

  1. Scarsità, riduzione od interruzione degli investimenti da parte del Servizio:
    1. Sovraccarico degli operatori del DSM da parte del progetto Iesa.
  2. Scetticismo e/o resistenza al cambiamento da parte degli operatori dei Dsm.
  3. Insufficiente integrazione delle equipe Iesa con gli altri operatori del Servizio.
    1. Insufficiente sensibilizzazione degli invianti.
  4. Abbandono Eterofamigliare:
    1. Isolamento all’interno della famiglia con permanenza dello stigma.
  5. Inefficace procedura di selezione delle famiglie
    1. Creazione od implementazione durante il processo di selezione delle famiglie e dei pazienti di aree di patologia.
    2. Abilitazione di una famiglia legata più a fattori emotivi degli operatori (simpatia, buon clima relazionale) che       alla presenza di caratteristiche positive che rendono quella famiglia adatta per quel paziente
  6. Insufficiente formazione/informazione della famiglia ospitante.
  7. Eccessiva “professionalizzazione” delle famiglie accoglienti.
  8. Eccessiva permanenza in stand-by delle famiglie già abilitate
  9. Inefficace campagna di sensibilizzazione sul territorio

Con buona probabilità la composizione dell’Equipe IESA, che ha visto l’ingresso di personale strutturato solo nell’ultimo anno, unitamente alla cultura presente nel servizio, ed ancora ad una insufficiente sensibilizzazione degli invianti ha prodotto un invio di pazienti a dir poco esiguo.

Sette pazienti in quattro anni, (vedi tab. pag. 6) sono numeri che rendono quasi impossibile l’avvio di un servizio IESA. Come precedentemente accennato, in questo tipo di progetti i drop-out “naturali” sono elevatissimi, circa il 50% secondo la nostra esperienza e la letteratura; va da sé che se il numero di invii è basso diventa quasi impossibile effettuare abbinamenti, inserimenti ecc.

Conseguenza immediata di quanto sopra è il normale scontento delle famiglie in attesa di accogliere un ospite, che, seppur animate da buona volontà, rischiano di perdere interesse dopo più di due anni di attesa, oppure in un periodo così lungo possono intervenire i più svariati cambiamenti sociali.

Ancora portato dello scarso invio di pazienti è quindi il marketing sociale. Che senso può avere cercare di coinvolgere ad esempio quaranta famiglie se si può immaginare un solo percorso di inserimento?

Relative alle Famiglie:

  1. Assunzione di un ruolo altro rispetto a quello di famiglia ospitante, es. il terapeuta, l’educatore etc.
  2. Dinamiche di potere Paziente ↔ famiglia collegate al contributo economico ricevuto.
  3. Sbilanciamento netto nelle motivazioni all’accoglienza sul versante del volontariato.
  4. Sbilanciamento nelle motivazioni all’accoglienza sul versante economico
  5. Difficoltà a prendere la giusta distanza emotiva nel rapporto col paziente.

Rispetto a questa dimensione, nella nostra seppur limitata esperienza, non ci è mai sembrato un problema insormontabile o ostacolo al progetto.

Relative ai Pazienti:

  1. Età compresa tra i 20 e i 40.
  2. Mantenimento di stretti contatti con le famiglie d’origine.
  3. Comportamento particolarmente disadattivo, bizzarro, impulsivo.
  4. Eccessiva aggressività, demenza senile, agitazione notturna
  5. Problemi di salute che necessitano l’utilizzo di materiale sofisticato.
  6. Necessità di cure intensive, continue, sia di giorno che di notte.
  7. Ricorso a pratiche illegali (furto, spaccio, ecc.).
  8. Dipendenza da sostanze stupefacenti e alcool.
  9. Ripetuti agiti anticonservativi.

Rispetto alle caratteristiche dei pazienti, e quindi anche all’aspetto diagnostico connesso all’invio, abbiamo rilevato qualche criticità degna di nota.

Storicamente le esperienze IESA nel mondo e in Italia sono state rivolte ad un ben preciso tipo di pazienti; prevalentemente si sono scelti soggetti anziani, definiti cronici, da anni ospiti presso strutture ad alta intensità e appartenenti all’area dei disturbi psicotici.

Questo “tipo” di pazienti in genere non aveva più una famiglia naturale o aveva interrotto i rapporti con essa in modo pressoché definitivo; si configuravano perciò quasi sempre affidi a tempo pieno che a loro volta strutturano un percorso IESA più “assistenziale”, in cui esisteva comunque un recupero o riscoperta di autonomie ed abilità. Sono questi i pazienti su cui sono state fatte ricerche e prodotti i pochi dati che esistono in letteratura. L’effetto età + cronicità influenza ovviamente anche le famiglie affidatarie, non poche volte ci è capitato di registrare la richiesta di un “nonnino” che può venir percepito come più rassicurante e meno inquietante di un giovane maschio adulto ad esempio.

Ci sembra opportuno prima di procedere oltre, rimandare il lettore alle osservazioni sul matching fatte a pagina due, che qui riprendiamo nuovamente sostenendo che non è la diagnosi a predire un buon esito rispetto all’abbinamento paziente-famiglia.

Anche un paziente giovane definito “border” può godere dei benefici di un affidamento etero-familiare, semplicemente può essere più complicato e richiede un maggiore investimento di energie ed una maggiore delimitazione del campo (durata, regole, stili di vita ecc..)

Tornando ai nostri dati, il 60% circa dei pazienti che sono stati segnalati, di fatto, non appartengono all’area psicotica come precedentemente descritta.

Anche fra i pazienti che il Servizio immaginava di inviare o proponeva, per poi cambiare idea, si trovavano pazienti giovani con situazioni clinico-sociali estremamente complicate, spesso affetti da disturbi di personalità, con cui prevalevano vissuti di impotenza, talvolta negata.

La prima riflessione che qui proponiamo riguarda proprio lo IESA, forse c’è bisogno di ri-pensarlo sempre più come uno strumento flessibile rivolto a giovani pazienti particolarmente complicati; a livello di tempistica questo ci fa immaginare percorsi brevi, da un mese a massimo due anni, con una funzione autonomizzante e anti-istituzionalizzante molto marcata.

La seconda riflessione riguarda invece il Servizio, ad oggi ci sembra che non sia ancora penetrata nella cultura istituzionale l’idea che lo IESA possa costituire un alternativa di fatto alla residenzialità per pazienti gravi di mezza età (dai cinquanta anni in su) definibili qui come neo-lungo assistiti.

Come corollario di quanto sopra ci permettiamo un’analisi di tipo dinamico della nostra esperienza, posta in questa sede come domanda aperta, provocatoria e provvisoria allo stesso tempo.

“Rispetto ad un nuovo Servizio che apre, come si fa a mantenere tutto fermo, ed uguale a se stesso?”

Non facendogli nessun invio o facendoli tutti, specie quelli più complicati e complicanti.

Relative al Territorio:

  1. Assenza di risorse socio-culturali fruibili per il paziente.
  2. Assenza di una rete articolata ed efficiente di servizi territoriali in grado di operare in sinergia con il Servizio inviante sia sul versante terapeutico che su quello riabilitativo.
  3. Cultura solidale assente, poco radicata o già fortemente indirizzata su altri progetti.

Anche rispetto a questa ultima criticità prevedibile, nel nostro territorio non abbiamo rilevato particolari problematiche, il territorio ha risposto in modo sorprendente e piacevole.

Conclusioni

L’esperienza IESA nel DSM dell’ASL TO4 è stata travagliata e spesso frustrante ma anche arricchente per tutti i soggetti in gioco: l’equipe Iesa, i pazienti, le famiglie e persino gli operatori del DSM in alcuni momenti, sono stati coinvolti in un processo nuovo dagli esiti imprevisti, che per sua natura forza il pensiero quando, e capita a tutti quelli che si occupano di “PSI”, si rivolge a se stesso e si attorciglia in dinamiche neo-manicomiali di fatto. Lo IESA da questo punto di vista può essere considerato come un processo irritativo interno, spia di un malessere che rischia di invisibilizzarsi e reificare procedure e prassi che vanno invece ri-pensate il più possibile. Persino le magnifiche perle nere di Rangiroa (isole Tuamotu) nel profondo dell’oceano pacifico, nascono da un’irritazione dell’ostrica che non riuscendo a espellere un corpo estraneo penetrato nel suo soffice mantello, lo ricopre man mano di finissima madreperla brunita. Uscendo dalla metafora e concludendo il nostro ragionamento, crediamo sia utile insistere in un progetto non certamente semplice, ma potenzialmente arricchente a tutti i livelli.

Insistere prendendo atto dei propri limiti, delle proprie responsabilità e del contesto in cui si opera; per noi ciò può significare rendere ancora più flessibile lo strumento, adattandolo alle esigenze che i CSM ci portano come prioritarie ma anche continuare a proporre ai colleghi delle alternative sul campo che rendano il loro già faticoso lavoro più efficace e soddisfacente.

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