PERDERE LA TESTA PER RITROVARE IL SENSO: dalla leggenda di Santa Difna al servizio I.E.S.A. di Erica Odasso ed Ezio Cristina

Scopo del presente lavoro è di trovare un senso storico, culturale, antropologico, dinamico ma soprattutto di riflettere su una pratica, lo Iesa, iniziata a Geel, che in Italia sta, lentamente, avendo una posizione sempre più di rilievo nelle risorse dei vari DSM.

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Con l’acronimo I.E.S.A. ci si riferisce all’Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti con disagio psichico, strumento d’intervento riabilitativo in favore della Salute Mentale e dell’abbattimento del pregiudizio ingiustificato che grava sui pazienti psichiatrici. La pratica prende avvio nel momento in cui una famiglia ospitante sceglie di accogliere un ospite indicato dai Servizi di Salute Mentale per un tempo definito, ricevendo a sua volta un sussidio a titolo di rimborso spese ed un supporto specialistico professionale costante ed competente nella gestione dell’ospite. Rispetto alle altre soluzioni residenziali dedicate ai pazienti psichiatrici, questa è per il paziente la condizione che più si avvicina ad una vita normale, dalla quale, perciò, egli può ricavare una notevole quantità e qualità di salutari benefici.

Concentrare risorse e possibilità di controllo in un unico luogo (come la Comunità terapeutica o l’Istituzione totale) è una tecnica d’intervento che risponde più alla rappresentazione mentale della malattia psichica che “hanno i normali”, invece che alle effettive esigenze espresse empiricamente dai sofferenti psichici. Le famiglie ospitanti si impegnano a svolgere un’attività inquadrabile a metà strada tra il volontariato e un piccolo lavoro, accogliendo nella propria abitazione una persona (solitamente adulta) che possa trarre un effettivo giovamento psichico dall’ospitalità. Le famiglie ospitanti ricevono un piccolo assegno a titolo di “rimborso spese” per l’accoglienza (insieme al supporto qualificato dell’apposita équipe IESA) in cambio dell’offerta di uno spazio minimo riservato all’ospite (una stanza ad uso personale), e della presa in carico delle esigenze quotidiane basilari dell’ospite, come fosse un membro della famiglia tra gli altri. L’ospite accederà alla convivenza in modo consenziente per il periodo di tempo stabilito. Questo tipo di intervento terapeutico mira all’autonomizzazione ed emancipazione della persona accolta, non prevede quindi un affidamento permanente. L’ospite è una persona già presa in carico dai Servizi territoriali di Salute Mentale, dai quali continuerà ad essere normalmente seguito. Questi ultimi candidano ad una potenziale convivenza coloro che si ritiene possano acquisire benefici dalla vita quotidiana familiare. In ogni caso, nel Servizio così orientato, il nucleo accogliente non è mai la stessa famiglia di provenienza dell’utente. Con l’avvio dell’esperienza di coabitazione, l’ospite dovrà contribuire attivamente e personalmente, secondo le proprie possibilità, ad assolvere ai bisogni e all’esigenze comuni e quotidiane della vita di famiglia.

IL MITO FONDATIVO DELLA CITTA’ DI GEEL

La pratica dell’inserimento di pazienti psichiatrici in nuclei familiari ha origini molto antiche, che sono fatte ufficialmente risalire dagli studiosi al secolo XIII d.C. nella cittadina Belga di Geel (o Gheel). Santa Difna è la patrona della città, protettrice dei malati di mente e di chi si prende cura di loro. Nel XVII secolo un canonico della chiesa di San Auberto a Cambrai trascrive la leggenda relativa alla vita di Difna raccogliendo le tradizioni orali circolate sulla santa nei secoli precedenti e creando di fatto il mito fondativo della città di Geel. Una lettura simbolica dell’iconografia della santa, così come ci è stata riportata dal monaco, ci permette di condividere alcune riflessioni sulla pratica di accogliere i malati di mente nella città, prima esperienza nella storia, in cui i folli vengono integrati nel contesto sociale cittadino invece di esserne separati. L’iconografia della santa rispetta i dettami della letteratura ecclesiastica del Medioevo: la figura femminile santificata fa una morte “santa”, muore cioè nel tentativo di preservare la propria verginità, così come accade ad altre eroine della cristianità in quello stesso periodo. La leggenda di Santa Difna, sicuramente, sancisce e fortifica il veto all’incesto così come predicato dalla cultura cattolica in opposizione alla cultura pre-cristiana che fu, probabilmente, meno rigida nei confronti di questo tabù. La figura della santa ha in sé però anche una tematica di emancipazione femminile ed una modernità che attraversa i secoli per giungere, a noi, oggi, con le sue suggestioni. La leggenda apre ad una lettura più allargata del contesto culturale e simbolico che ha caratterizzato ed ancora caratterizza la realtà di Geel.

LA LEGGENDA

Santa Difna è una principessa irlandese che ancora adolescente lascia la terra di origine per sfuggire alle mire incestuose del padre Damon. La legenda narra che Damon, fosse un re pagano e che alla morte dell’amata moglie avesse vagato per l’intera Europa nel tentativo di trovare una donna in grado di prenderne il posto. Al rientro in Irlanda, dopo una vana ricerca, il re si invaghisce della figlia quindicenne, unica donna in grado di ricordargli la moglie perduta. Per non sottostare al volere paterno Difna, battezzata, ed anch’essa di religione cattolica come la madre, fugge dal padre con l’aiuto dell’ anziano abate Gerebernus. La principessa ed il monaco giungono nel continente europeo e decidono di fermarsi nell’attuale Belgio, in una foresta nelle vicinanze del villaggio di Geel. Il re insegue la figlia e quando la ritrova, incapace di accettare un nuovo rifiuto, uccide sia lei che l’abate tagliando loro la testa. La leggenda narra che sul luogo della decapitazione alcuni folli ritrovarono la ragione. In un’altra versione della storia si narra che dopo la beatificazione (avvenuta diversi secoli più tardi), al momento della riesumazione della salma, una moltitudine di malati mentali, accorsi per assistere all’evento, guarì miracolosamente. Gell divenne così, a partire del VII secolo d. c., meta di pellegrinaggio. I folli vi si recavano per assistere alle “Novene”, 9 giorni di preghiere e penitenze presso la chiesa costruita e dedicata alla santa, nella speranza di guarire dalla loro infermità. Poiché il numero dei pellegrini diveniva sempre più alto, le autorità si accordarono con gli abitanti del luogo affinché i malati potessero trovare una sistemazione presso le famiglie locali in cambio di piccoli lavori agricoli ed aiuto domestico. In onore di Santa Difna fu costruita in seguito una chiesa; inoltre, intorno al 1280 fu edificato un centro psichiatrico nel luogo dove la principessa irlandese venne uccisa dal padre. Nel Medioevo diverse furono le città meta di pellegrinaggio per i folli ma solo la cittadina fiamminga sancì la pratica dell’accoglienza in forma istituzionale. Nel XV secolo venne infatti emanata una prima legge che regolamentava la permanenza dei malati di mente nella città belga dando inizio ad una tradizione che vive ancor oggi e contraddistingue Geel rispetto ad altre realtà. La spinta all’accoglienza della comunità locale è così forte e sentita da indurre ad equiparare la stessa località come una Colonia familiare. La regione di Geel stessa viene tutt’ora identificata come una vera e propria “Istituzione Psichiatrica Pubblica” (Openbaar Psychiatrisch Ziekenhuis). La leggenda di Santa Difna, analizzata in una prospettiva junghiana, apre ad una lettura più allargata del contesto culturale che diede avvio alla pratica dell’accoglienza dei malati mentali. La vicenda è certamente un riferimento simbolico agli esordi della Cristianità ed al suo diffondersi in Europa con particolare riferimento all’evento del monachesimo celtico. A questo proposito un breve riferimento storico diviene indispensabile per dare conto di tale lettura.

LA CULTURA PRECRISTIANA E IL MONACHESIMO IN IRLANDA

Nei primi secoli del millennio la religione cristiana era una realtà ancora giovane che lottava per affermarsi in Europa a partire dall’impero romano che fu il suo centro di diffusione. Il cristianesimo in Irlanda si fuse con la cultura druidica a sua volta impregnata delle culture matriarcali precedenti. I primi contatti con la nuova religione avvennero già a partire dal II secolo d. C. ad opera di alcuni mercanti che portarono sulle coste irlandesi e scozzesi il cristianesimo diffusosi in Egitto. Questa religione fu caratterizzata da una spiritualità fortemente sentita e dalla propensione al ritiro ascetico; in tale tradizione, inoltre, uomini e donne ebbero ruoli e possibilità paritarie. L’Irlanda era contraddistinta, in quell’epoca, da una cultura fortemente rurale, organizzata sul territorio in piccoli centri governati da capi locali, il cui potere non aveva però una struttura fortemente gerarchizzata. In questo tessuto sociale il cattolicesimo prese piede in modo diverso rispetto ad altre realtà europee, più caratterizzate dall’urbanizzazione, integrandosi con la tradizione druidica. Di fatto per un lungo periodo, che va dal V all’VIII secolo la chiesa celtica, organizzata in monasteri diffusi su tutto il territorio, godette di un’epoca d’oro e di molta autonomia rispetto alla chiesa romana. Nei monasteri irlandesi diverse tradizioni si fusero creando una cristianità caratterizzata dal culto indigeno della natura e da una spiritualità ancora legata ai culti pagani della Grande Madre. Le figure chiave del cattolicesimo irlandese furono tre: Santa Brigida che rappresentava il culto della natura ereditato dalla cultura celtica e dalle culture matrifocali dei secoli precedenti, Colombano che faceva riferimento al monachesimo integrato con tali istanze ed infine San Patrizio rappresentante del cristianesimo romano che prese piede in forma più organizzata e diffusa durante l’VIII sec., epoca appena successiva a quella in cui si svolge la leggenda di Santa Difna ambientata nel VII secolo. Questo è il contesto storico in cui si originò la leggenda.

UNA POSSIBILE LETTURA SIMBOLICA

Il re, in una lettura simbolica, rappresenta l’atteggiamento culturale dominante nell’Irlanda del 600 d.c. in cui il potere è suddiviso fra i signori locali, i monasteri, centri propulsivi di cultura e spiritualità e la chiesa romana, che tenta di instaurare il proprio dominio in tali territori. Damon, rappresentante della cultura celtica caratterizzata dal culto dell’eroe, sposa una moglie cattolica, integra un principio femminile legato alla nuova dimensione religiosa; dall’unione con la regina nasce Difna principessa battezzata e quindi a tutti gli effetti portatrice del principio della cristianità. Con lei, il monaco, quale elemento spirituale maschile connotato di saggezza e rappresentante della cultura monastica. La morte della regina potrebbe significare che la cultura celtica caratterizzata dal culto dell’eroe prima, e dall’arrivo del cattolicesimo romano poi, finisce per soffocare una dimensione religiosa che aveva saputo coniugare il nascente spirito cristiano con i culti di carattere matrifocali che veneravano la natura. Scompare in questo momento storico una spiritualità legata al culto della natura e alla dimensione femminile. Il re vaga in tutta l’Europa alla ricerca di una nuova moglie, di una possibilità di accoppiamento con un principio femminile altro. Non trovandolo, al ritorno in Irlanda, si invaghisce della figlia. Il tema dell’incesto simbolicamente sembra indicare che alcune istanze culturali rimangono inconsce o vengono rimosse ed è impossibile un rinnovamento culturale. L’incesto evidenzia, secondo Jung, una problematica nella coscienza collettiva, un’unilateralità che non permette un’evoluzione. L’inconscio emerge quindi con il simbolo dell’incesto per esplicitare un disequilibrio, una difficoltà evolutiva e spirituale. Nella leggenda Difna, sebbene adolescente, ha il supporto dell’abate, non è quindi sola nell’affrontare il tentativo di incesto paterno. La principessa ed il monaco potrebbero forse simbolizzare quel principio di spiritualità che sta scomparendo e che cerca nuove terre da colonizzare. Il monachesimo irlandese è caratterizzato infatti dalla “peregrinatio”, cioè dall’obbligo di viaggiare e portare in luoghi desolati la propria opera di evangelizzazione. La ragazza in fuga vagherà anch’essa per l’Europa così come hanno fatto i monaci irlandesi, il principio spirituale rappresentato dalla principessa e da Gerebernus rimane vivo e si diffonde. In questo senso Difna e Gerebernus sembrano simbolizzare l’opera di evangelizzazione compiuta dai monaci irlandesi in tutta Europa. Molti monaci, infatti, partirono dall’Irlanda per portare la parola cristiana in Europa e si contraddistinsero per una religiosità molto sentita e poco legata alle dispute di potere che contraddistingueva altre realtà religiose europee più fortemente connesse a Roma. I monaci irlandesi si contraddistinsero inoltre per la fondazione dei cosiddetti monasteri doppi, in cui sia uomini che donne vivevano in ritiro spirituale in strutture ecclesiastiche condividendone gli spazi e gli intenti, così come avveniva nei territori nord africani nel primissimo cristianesimo. Difna e Gerebernus sembrano quindi rappresentare l’esperienza religiosa del monachesimo irlandese del VII secolo d.c., e dei secoli precedenti, nel suo significato più mistico e connesso alla natura; in tale epoca il ruolo della donna all’interno delle comunità religiose aveva tutela e riconoscimento, status che verrà poi perso nei secoli successivi, quando la chiesa romana delegittimerà la donna relegandola ad un ruolo di inferiorità rispetto all’uomo, assimilandone inoltre l’essenza al tema del peccato originale e alla figura del Diavolo. La figura di Difna richiama ad un movimento di emancipazione del principio femminile. Molte donne di quell’epoca potevano scegliere di vivere la vita monastica, e le pratiche ascetiche ad essa connesse, per evitare il matrimonio e coltivare la propria spiritualità ed anche, in taluni casi, una dimensione intellettuale che diversamente non avrebbero potuto vivere. In gaelico il nome Difna significa cerbiatta, animale tipico delle foreste irlandesi e continentali. La giovane martire porta con sé il lontano eco della cultura celtica dalla quale proviene. Il cervo è un animale venerato nella mitologia dei Celti, così come in molte altre tradizioni, come simbolo di rinnovamento e spiritualità; la femmina di tale specie rappresenta l’anima femminile caratterizzata da dolcezza e contatto con la natura; in alcune leggende pre-cristiane essa è colei che permette il passaggio con una dimensione ultraterrena, presiede ad un rito di trasformazione e saggezza. Nell’iconografia cattolica inoltre il cervo rappresenta simbolicamente il Cristo. La principessa condensa nella sua figura leggendaria una spiritualità femminile che tenta di emanciparsi dalla cultura rappresentata dal padre; essa simboleggia sia la ricerca ascetica di Dio ma anche una cultura legata alla natura ed ai suoi cicli così come veniva venerata delle popolazioni precristiane. Difna e l’abate scelgono di fermarsi in una foresta in zona fiamminga dove condurre una vita di ritiro spirituale. La foresta è il luogo dell’inconscio per eccellenza, luogo di esperienza liminare e trasformativa. La leggenda narra che la principessa fuggì non solo con il monaco ma anche con una piccola corte al suo seguito, costituita dalle figura di una serva e del giullare di corte. La principessa porta con sé un principio quaternario composto dalla saggezza di Gerebernus, dal giullare, colui che si finge folle, e da un principio materno di tutela. Nella leggenda Damon ritrova la figlia presso Geel e le dà la morte tramite decapitazione; con Difna anche il monaco perde la testa. Il re sceglie quindi di non unirsi alla figlia ma di sacrificarla, in qualche modo il gesto insano del re scongiura l’incesto. Tale gesto rappresenta una follia omicida o forse un ri-insavimento, una guarigione? Difna perde la testa, muore in difesa della propria integrità spirituale e fisica. Cosa significa “perdere la testa” per Difna? Nel culto antico la testa rappresentava il contenitore dell’”essenza umana”. Per questo si diffuse in epoche remote il rito della morte per decapitazione. Nella cultura celtica la testa mozzata era simbolo per antonomasia del sacrificio; tagliare la testa rimanda al rituale sciamanico ed iniziatico di morte che presuppone la rinascita. Perdere la testa nella concezione comune significa perdere la ragione, sacrificare cioè una parte di sé legata alla dimensione del pensiero e dell’anima. Difna perde la testa ma conserva il principio morale della sua verginità. La testa rappresenta quindi una funzione pensiero, una possibilità riflessiva ed intellettuale ma anche un’essenza dell’anima. Difna “perde la testa” per il padre, sacrifica cioè una possibilità di autonomia. Il padre stesso preferisce sacrificare la figlia, accetta dunque di non consumare l’incesto. Il principio culturale dominante rappresentato dal re mutila l’ istanza culturale del monachesimo ma, in qualche modo, ne salva ed integra anche i contenuti. Il processo rimane parziale ma, come spesso accade, porta comunque ad un rinnovamento. La leggenda narra che i corpi della giovane e del vecchio non vennero intaccati dagli elementi ma che si conservarono intatti. Sul luogo della decapitazione inoltre ci furono delle guarigioni miracolose. Si narra che il monaco e la ragazza vennero sepolti in una grotta all’interno di due sarcofagi di pietra bianca. Il principio spirituale rimane quindi simbolicamente in incubazione nell’inconscio, rappresentato dalla foresta, per risorgere poi intatto in un periodo successivo. La santificazione di Difna avvenne diversi secoli dopo il periodo in cui è ambientata la leggenda, secondo una pratica molto in uso nel Medioevo di reperire reliquie e costruire intorno ad esse un’agiografia dei santi che desse validità e spessore al culto cattolico. Non sembra possibile comprendere cosa intercorse in tale lasso di tempo. La figura di Difna fu tramandata attraverso l’oralità popolare per secoli e venne poi raccolta e narrata da un monaco francese del XIII secolo. Dalla leggenda si passò all’iconografia e così alla santificazione. In una lettura simbolica dal sacrificio della principessa e del principio che essa rappresenta nasce una possibilità di salvezza per alcuni. Durante la cerimonia per la traslazione delle spoglie della santa accorsero a Geel molti pellegrini e nuovamente avvennero guarigioni miracolose. Santa Difna divenne, ed è ancora oggi, patrona delle vittime di incesto e dei folli. L’accoglienza del malato di mente divenne prassi consolidata nella città di Geel; il principio dell’integrazione di chi è sofferente trovò un recinto sacro in cui essere accolto; un luogo molto diverso da quello rappresentato dal manicomio. Difna rappresenta una religiosità legata ai cicli della natura, e al sapere antico di tradizioni precedenti, all’interno delle quali la malattia mentale non era ancora codificata con i criteri che la forgiarono nei secoli successivi. Nel corso del Medioevo gli ordini monastici divennero strumenti del potere economico ed amministrativo della chiesa, rappresentando centri di cultura e di diffusione di un cattolicesimo dogmatico e sanguinario. Numerose furono le eresie combattute ed affogate nel sangue; le trazioni ed i culti precristiani vennero soppiantati. La storia di Difna ci parla di una possibilità di guarigione e redenzione, una lettura “diversa”, della follia e della sua cura che, attraversando i secoli bui della segregazione manicomiale, è giunta fino a noi ancora intatta nella forma di una pratica di accoglienza per la malattia mentale. Come Foucault insegna è a partire dal 1600 che ha inizio un processo culturale che porterà alla costituzione del manicomio; tale processo ebbe avvio essenzialmente con l’assimilazione della follia al concetto di s-ragione e di a-moralità. La follia, che nel Medioevo manteneva un’aura di sacralità e mistero, venne spogliata della sua saggezza metafisica ed isolata come zona di irregolarità morale e mancanza di raziocinio. Perdere la testa ha significato macchiarsi di una colpa, di un’ a-moralità che fu duramente sanzionata attraverso l’internamento per molti secoli. Santa Difna è protettrice sia dei folli che di chi si occupa di loro, rappresenta quindi una modalità di leggere ed integrare la follia meno legata alla separazione e all’isolamento del malato. La figura della santa ha in sé la funzione di dialogo e relazione con l’alterità, una spiritualità trasformativa. Cos’è dunque la follia se non il contatto con una dimensione altra sconosciuta e irrazionale? Perdere la testa per Difna significa non soggiacere alle mire paterne, rimanere inviolata anche a costo di rinunciare ad una parte di sé; da tale sacrificio però sembra nascere una possibilità di redenzione. La s-ragione rappresentata dalla morte della santa e di Gerebernus lascia un’impronta culturale forte a Gell, luogo in cui la follia è accolta nelle famiglie e meno stigmatizzata che in altri luoghi. La perdita della testa diviene un passaggio rituale che porta ad un nuovo status ed a nuove possibilità. Difna perde la testa forse anche per avere la possibilità di innamorarsi, di un altro al di là del padre, di un progetto o di una concezione della realtà differente da quella proposta dalla cultura dominante. La sua figura porta con sé una lettura della follia meno spaventosa e pericolosa, un’alterità che può essere accolta e forse, in taluni casi, sanata. La domus diviene luogo di riparazione ed integrazione, possibilità di “tenere insieme” diverse dimensioni, sanità e follia. Dopo ben più di mille anni la leggenda sembra ancora attuale e viva, così come dimostra la capillare diffusione dello Iesa in molte parti del mondo.

LA REALTA’ DELLO IESA OGGI

Da quegli anni lontani la pratica dell’accoglienza dei malati mentali in ambiente domestico si è diffusa e affinata in tutto il mondo, talora sfruttando un processo di professionalizzazione e/o medicalizzazione, ma sempre conservando e promuovendo la fondamentale partecipazione delle famiglie dell’intera comunità. In molte realtà nazionali, oggi, si applica lo IESA, e la sua diffusione si sta ampliando a “macchia d’olio”; in Italia in servizio Iesa è presente in molte regioni. In un recente convegno di Monza (27-28 novembre 2014) quasi tutte le realtà che si occupano di migliorare la qualità dell’ospitalità supportata si sono trovate per confrontare e connettere dati, esperienze, problemi. Si è iniziato a riflettere a partire dai vari acronimi in uso (IESA, Ose, Affido eterofamigliare…) apparentemente dettagli oligofrenici, a cui invece sottende un messaggio operativo. Inserimento deriva dal latino “inserere”, intrecciare, collegare, introdurre, adattare, (con richiami fallocratici) e, rispetto alle persone, in senso figurato, l’individuo nella società, nel mondo del lavoro. Ospitalità deriva dal latino “hospitalis” , da hospes-patis , ospite, persone o luoghi che accolgono cordialmente gli ospiti, per vitto, alloggio e benessere fisico e spirituale. Affido deriva dal latino “fidus”, fidato, dare in custodia, consegnare all’altrui capacità e cura, lasciare con fiducia qualcuno a qualcun altro. Riporta ad una “ diminutio” delle capacità dell’ospite e quindi ad una ipe-responsabilizzazione della famiglia ospitante. E’ il termine meno congruo anche perché, soprattutto in Italia, confusivo rispetto alla legislazione che riguarda i minori. Accueil familiar therapeutique (paesi francofoni) deriva dal latino “ad-colligere”, cogliere, raccogliere, ricevere, dare accoglienza, ospitare, alloggiare. Pare assai congruo, ma il termine terapeutico collide col fatto che la famiglia non può essere terapeutica, poiché gli ospiti sono, e devono continuare ad esserlo, in carico ai Servizi invianti. Adult foster family care (paesi anglossassoni), intraducibile nell’interezza; foster : incoraggiare, promuovere,favorire, nutrire,adottare, prendere in affidamento foster care: adozione temporanea, affidamento care: essere solidale, cura, attenzione quindi: affido di adulti ad una famiglia A Monza non si è discusso solo di semantica, ma soprattutto di stile di lavoro, della visione sui vari livelli di integrazione con i Servizi, sulla relazione ospite / famiglia / IESA /DSM / comunità allargata. Ci sono stati gli interventi di J.C. Cebula (Parigi-Francia) e di W. Bogaerts (Geel-Belgio), entrambi tra i massimi esperti di queste tematiche. C’è stato un confronto tra le operatività dei vari Servizi IESA (Torino, Bergamo, Monza, Firenze, Bologna, ecc.), e sulle difficoltà incontrate a livello politico, amministrativo, con i servizi territoriali. Si è cercato di rispondere alla domanda “perché un’operatività che, è stato provato, fa star meglio i pazienti, crea rete sociale, fa risparmiare i DSM, svolge una funzione importante a livello preventivo, può supportare famiglie in difficoltà economica, potrebbe essere allargata agli utenti dei SERT, agli adolescenti in crisi, alle crisi (modello “ crisis farm”), incontra così tante difficoltà o addirittura è osteggiata dagli stessi psichiatri?” Le risposte sono emerse ben articolate e sono stati evidenziati i presupposti per proseguire le attività: – un convegno nazionale, – maggior integrazione e scambi di informazioni con e tra i DSM che hanno già al loro interno chi si occupa di IESA. – contatti internazionali strutturati, – lotta allo stigma, – puntare ad emettere leggi regionali omogenee e successivamente ad una legge nazionale. Il collega W. Bogaerts ha riportato l’esperienza di questi secoli di Geel, che oggi, su 70000 abitanti, ha ancora 200 ospiti, e la sua difficoltà attuale dovuta al fatto che il gruppo che si occupa di “accueil” è pagato dall’ospedale psichiatrico, che utilizza fondi nazionali, e rappresenta quindi una spesa aggiuntiva. E’ stato raccontato e ripreso più volte il mito di Santa Difna, la Santa protettrice delle persone con problemi e dei loro terapeuti, cercando di darne una nuova lettura. Ci è parso importante dare un contributo cercando di attualizzarlo e contestualizzarlo in una visone più ampia a livello storico e culturale. E’ forse venuto il momento, a livello simbolico, per Difna, e per la realtà storica che dalla sua figura leggendaria è scaturita, ritrovare la propria testa? Articolare cioè un pensiero scientifico in modo più programmatico e condiviso? Il presente lavoro propone una riflessione teorica che va in tale direzione.

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